Ernesto – aveva iniziato scandendo bene le lettere del nome come succedeva di rado, poi era tornato
al dialetto stretto e chiuso lodando il nobile bistrattato lavoro del contadino, il miracolo che
trasforma sudore in sostentamento per le famiglie [anche quelle che la terra non la lavorano,
bofonchiò], disse del rispetto per quelli venuti prima a faticare su quegli stessi campi,
dell’importanza dei cicli naturali e degli esseri viventi dal mammifero più grande fino al più piccolo
filo d’erba. La natura è la tua vera madre, più di quella che ti ha portato in grembo nove lune – gli
era uscito dopo una pausa – e per prima con la natura ho fatto l’amore. Per i figli o i raccolti, sempre
bisogna far prima l’amore con la natura. Capisci?
Non da lui dilungarsi in un discorso, infilare parole logiche coerenti con idee, appassionato, con
cervello pancia e cuore. Ma veramente, no. Non capiva. Sperava con tutte le forze ci fosse altro:
altri indizi, un’altra pagina del libro, qualunque cosa pur di non doverlo guardare in faccia e dirgli di
non aver capito niente dopo tanta cerimonia. Che significava esattamente far l’amore con la natura?
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