Le volte in cui i fratelli Karamazov decidono di discendere in loro stessi sono perlopiù quelle giornate in cui il termometro segna le minime stagionali. E’ proprio in quei pomeriggi insopportabili – nell’ora tra la seconda e la terza – che ognuno precipita nello spazio più profondo che uomo possa riuscire a immaginare, ben oltre sciocchezze come cuore-intimità-recessi: i suoi propri atomi. Là dove riluce il buio perenne si rinasce col tepore costante del vuoto. E’ un’esperienza fantastica dice Dimitri, inesprimibile e pacificante, con l’aggiunta dell’emozione del principio di indeterminazione secondo il quale in quel luogo non c’è cosa che possa accadere due volte: tutto ciò che accade, in sostanza, non si può dimostrare. Come adesso infatti, guardate: tre o quattro Dimitri fluttuano felici dal nucleo agli elettroni, cinque o sei Alesa passeggiano tranquillamente lungo dieci campi di calcio a cinque. Gli Alesa diventano Ivan, gli Ivan ridiventano mille volte Alesa. La tris viene ribaltata: Xeiku, Filira, Miramont Lady. Il tè che beviamo torna nel bricco. Poi si riversa. Poi torna ancora nel bricco. Un’esperienza fantastica dice Giovanni della portineria di palazzo Fatta – inesprimibile secondo Lucilla di Pontecagnano: restare sé stessi senza essere più sé stessi.
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