BERLINO

Si, io sto sempre qui, da me – son quarant’anni che vivo qui, figurati. Per l’esattezza quarantasette. Quindi quasi cinquanta. L’epoca dei traslochi finì assieme all’avventura universitaria. Con i sacconi neri enormi, pieni di libri e mutande – tre mesi a Coltano, cinque a Campo, due anni a Cisanello. E poi mica mi ricordo: forse Largo Marinai d’Italia. Via dell’Occhio. Boh, non mi ricordo più. Poi venne Berlino, Urbanstrasse, 111. Mi ricordo bene l’impiantito in legno e la grande stufa a carbone maiolicata. Il carbone in lingotti compatti, non la carbonella che abbiamo qui giù: dei mattoni. L’abbracciavo, quella stufa – un paio di volte ho pensato anche di scoparmela. Ci credo: fuori c’era meno venticinque. Ti rimaneva la pelle appiccicata alla maniglia, senza guanti.
Si, ma ora non mi ricordo più: di cosa si parlava?

Dell’Inter?
Cazzo.
Ancora fuori tema.

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