Ha lavorato in giardino, si presume, un giardino su tre livelli sopra e sotto e sullo stesso piano della villa. Una mezza giornata di su e giù vuol dire molto per i piedi, si siede sul gradino di una delle porte del salone, spalancata su una porzione della sua opera nel sole dell’ora di pranzo che s’avvicina e si toglie le scarpe, i piedi sporgono all’aperto il culo nella stanza, si toglie i calzini e l’alluce destro ora mostra – tutti quei chilometri in giardino avranno smosso qualcosa, si dice – un’estremità di quella scheggia di ignota provenienza che aveva tentato a lungo di tirar fuori e che non ne aveva voluto sapere, già tutta incarnita com’era, finendo per diventare un punto più scuro nella pelle e un dolore trascurabile in certi passi non troppo regolari che gli capitava di fare. Ecco che ora sporge e ne approfitta, più che una scheggia pare l’estremità di un ramoscello e tirando inizia a venir fuori per bene e non smette di venir fuori se non dopo molti centimetri, è proprio una porzione di ramoscello lunga tanto quanto l’alluce stesso e anzi un po’ di più, di notevole spessore per giunta, tanto che una volta estratta e sopportata a fatica la sensazione di qualcosa che gli si muove nella carne, ecco che l’alluce da quel lato è tutto floscio, come sgonfiato, la pelle s’è fatta di rughe cadenti.
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