IL TERZO DITO

Settanta settenari tutti d’un fiato mi son bevuto. Ho indossato scarpe da ballo e via. Mentre volavo, ecco il primo dito. Apparteneva a un poeta etiope morto da duemila anni. Ho bevuto tre senari doppi e un endecasillabo sdrucciolo. Ed ecco il secondo dito, quello della ragazza che la sera si affaccia alla finestra del condominio di fronte al mio. Allora mi sono nascosto sotto le lenzuola alla ricerca di qualche esametro dattilico. Ma c’erano solo briciole di pane, peli puberali, arcipelaghi di forfora. Ho indossato il vestito da palombaro e via, in volo. Il terzo dito arrivò dall’alto, precipitò giù come lama di coltello e andò a conficcarsi nel tagliere che teniamo sul tavolo della taverna. Il terzo dito era il mio.

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