Voci sguaiate e risate insopportabilmente scasciose si levano sempre più alte dai tre tavoli accostati accanto, strappano da un sonno abissale i pesci blu tratteggiati a mezz’altezza sulla parete dietro di noi e fanno veleggiare il cellofan teso davanti i pilastri della veranda vicinissima alla strada panoramica… Abbandono le orecchie e mi avventuro al di là delle incorporee sfuocature dell’Esterno affioranti sulla pallida superficie interna della plastica: una pioggia sottilesottile picchia l’asfalto e, subito dietro le imponenti balaustre di pietra e metallo, giù in spiaggia, appesantisce e brunisce la sabbia sotto i miei piedi già oltre la linea immaginaria dove di solito comincia a rumoreggiare il mare quest’oggi di un grigio più che mediterraneo baltico…
(L’OCCHIAIA. 72.)
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