DINORI, ORI

Girare a capo basso, senza guardare in faccia nessuno, dà dei vantaggi che alla plebaglia, scolorita e vernina, sfuggono: per esempio che pesti meno le merde, che noti un paio di stivaletti scamosciati, che riconosci le persone dai calzini: il Dinori, per dire, indossa lo stesso paio di calze celesti ormai da novembre, i primi del mese: lo sappiamo perché oltretutto insiste a scimmiottare la moda dei calzoni, oni, a stinco, che si vedono, per l’appunto i calzini, ini. E poi, Dinori, ascolti: le unghie dei piedi, con tutto quello che mi cammina, lei, chilometri e chilometri di vita ripensata e ridiscussa fino al particolare microbico, fino a quella volta che se avessi detto subito: ma vai a cacare – ecco, quella volta lì. Dinori, ori. Le unghie. Che tra l’altro, poi, mica per altro, appena passato il tipo, quella volta, appena finita la discussione, dopo una cinquantina di metri trovai un orologio Bulowa, quasi nuovo, ce l’ho ancora, durano una vita, quegli orologi lì. Erano le diciannove e sedici.

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