Io compio cent’anni quattro volte al mese. Niente di strano se si pensa che ho un cugino che li compie otto volte a settimana, e uno che ne fa centoventi al mattino e centotrenta la sera. Dicevo, che mia madre tutte le volte segna una ics sul calendario. Tira fuori la mia mummia da un cassetto e la mette a stendere al sole. Mezza giornata a scaldare, un po’ di ocra rossa per dare colore, poi una spruzzata di appretto e una stirata finale. Lo facciamo da quando io e lei sgozzavamo cervi nella boscaglia. Da ieri notte, mi pare. O dall’altro ieri. O forse da quando abbiamo visto per la prima volta le centottanta regioni del cervello umano, il robot di un moscerino, la terza sequenza del DNA di un Petauro dello zucchero sul palmo della nostra mano. Non cambia niente. Sono undicimila cinquecento anni che io e la signora Anna facciamo questa vita: dall’ultima glaciazione. Questo è il nome di mia madre. Quella è una calotta cranica scarnificata che usiamo come scodella per mangiare. Teniamo anche lunghe conversazioni. Ma mai su argomenti come la coltivazione del riso, i cavalli vapore, il viaggio di Maometto per raggiungere Dio.
QUATERNARIO
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