DODICI ORE

Due cose fondamentali: sono un nostalgico, il tempo è denaro.

Da quando la luce si è stabilizzata alle dodici e ventitré di un martedì estivo – sembra una vita, sono appena due anni – la mia esistenza è votata alla ricerca di un modo per tornare indietro.

Provvisoriamente, ho adottato la finzione.

Nella stanza vuota ho costruito un congegno a orologeria – sei mesi di progettazione, uno e mezzo di realizzazione – fatto di bracci meccanici, argani, pulegge, corde ma soprattutto pennelli e vernici.

Ogni settimana consiste nell’attesa del giorno libero: mi chiudo a chiave nella stanza senza finestre e attivo il macchinario, le cui parti tremano, ruotano, si capovolgono; il cui perimetro di setole dipinge realisticamente, minuziosamente, meccanicamente, dalle otto alle venti, l’itinerario primaverile di un sole a tempera su muro.

 

 

da “Volevo fermarmi a tre righe ben scritte” (Gorilla Sapiens Edizioni 2019).

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