ROMA OSTIENSE

A un certo punto bisogna cominciare a vivere. A starci. Non più a voler starci, ma starci proprio. Incerto. Impuro. Confuso. Non bene pronto, ma starci

Darsi buone intenzioni dura lo spazio della scuola. Non si può sempre andare a scuola, non si può sempre proiettarsi avanti

Ripetersi le stesse parole diventa una minestra riscaldata

Per questa serata volevo segnare solo i momenti di sobbalzo, frammenti, istanti

Al ripiano dei volantini culturali, è stato proprio il sobbalzo di vedersi proiettati in qualcosa che non esiste, come avere un gelato e lasciarlo squagliare e cascare perché si sta a guardare i gelati dei passanti

Volevo camminare stare al fresco

Un uomo mi passa accanto gradevolmente trasandato e sicuro occupava il centro del marciapiede parlando all’auricolare, ho avuto un moto di ostilità a dir poco

Sul Tevere oltre lo spazio conosciuto, ho sentito improvviso un odore di erbe e un risveglio di volontà di fare o di essere, qualcosa che non ricordo

Sono arrivato su un ponte nuovo scuro e il fiume mi faceva vertigine, vicino e mortale lontano giù sotto. Di qua e di là del ponte come su una nave sul mare mosso. Ponte mosso da presenze sconosciute nel buio. Alla fine un muro finto di alpinisti . Il gazometro con luce azzurra, monumento, ma a cosa? cosa celebra? cosa rappresenta?

Sotto, sulla riva sculture postmoderne nel buio. Avanti, una fiera tipo paese, poi più avanti diventa normalmente cittadina modaiola

Cambio via laterale ci sono studios con street art volti a pallini tipo cine vecchio. Alcuni vip antichi. Entro. E’ un posto di lavoro

Una donna si trucca in auto alla luce dei lampioni

Al ristorante giapponese osservavo i piattini passare. Due cuochi in bandana sempre in movimento. Si sta davanti al rullo. Cose gustose (buone? non so, certamente professionali). Tutti professionali

Si guarda in faccia dall’altra parte del rullo in una intimità involontaria, industriale. Una cameriera mi ha fatto notare una cosa vegan sul rullo.

Il cortile parrocchiale su via del gazometro è chiuso.

Andreotti è chiuso, serranda semiabbassata. Ieri al telefono con amica straniera ho lodato Andreotti.

Mi affaccio al Caffè Letterario per vedere se c’è qualcosa dal vivo.

Su via Ostiense i fari e solo io sul marciapiedi, mi davo un tono accelerando l’andatura e alzando il mento

Sul ponte nuovo che porta a Garbatella mi sono fermato a lungo. Mi davo pizzicotti. Lo scrittore riportava il paesaggio della città. Treni per Ostia e metro, uno che fischia sulle rotaie. Riconosco i punti cardinali. Le figure umane dentro i treni. Nei balconi del grande palazzo una vecchia accudisce qualcuno, un uomo si accende una sigaretta e rientra. Una coppia entra in parcheggio e in auto. Fantasticato di gettare tutto il valore documenti chiavi telefono nei rovi tra ferrovia e parcheggio e sparire e camminare verso il mare.

All’inizio della serata dal centro anziani la canzone “piccolo fiore” cantata (dal vivo ma pari pari al cantante del disco).

A casa di zia la poltrona era davanti alla finestra aperta

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