L’ ordine mi rasserena, rimette a posto le cose. Come la musica. Da bambino era ordine il portapenne nella tasca centrale dello zaino, mio padre seduto a tavola alla mia destra, mia madre di fronte, le persone che non mi piacevano a debita distanza, i vetri della mia camera puliti. E quando dico puliti intendo così trasparenti da essere invisibili. Mia madre lo sapeva e tutte le volte che mi vedeva agitato, li puliva fino a renderli della trasparenza giusta, quella che avrebbe rimesso a posto le cose. Saliva su una sedia e con un panno in mano faceva su e giù. Mentre puliva sembrava che i seni volessero scapparle dal petto e non le staccavo gli occhi di dosso per essere pronto ad acchiapparli se fosse successo. Di tanto in tanto controllavo la finestra per accertarmi che la trasparenza fosse quella giusta, quella che avrebbe annullato la distanza tra me e la bambina del palazzo di fronte, riportando ogni cosa al suo posto. Perché tutte le cose hanno un posto dove stare, lo sapevo già allora. Sapevo che la bambina del quinto piano doveva stare vicino a me; così come sapevo che Amalia, la mamma di Arturo, che puzzava di sigarette e mi sorrideva mostrando i suoi denti ingialliti doveva starsene a debita distanza. Non è stato facile capire che esiste un ordine naturale delle cose; spesso mi ostinavo a metterle dove non potevano stare, convinto di aver trovato il posto giusto per loro, ma serviva a poco; ad un certo punto mi sfuggivano di mano per tornare nell’ unico posto in cui potevano stare, infischiandosene della mia ostinazione e delle mie buone intenzioni. Tutte le volte che succedeva era peggio del tanfo di Amalia, dei rimproveri di mio padre, di svegliarmi la mattina per andare a scuola. Poi è arrivata la musica con i suoi poteri speciali. Lei sa sempre come rimettere a posto le cose, anche quando tutto è capovolto e mi acchiappa l’ agitazione di cui mi pare impossibile liberarmi.
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