STORIE DEL SIGNOR JFK (89) (remake)

Sente la pelle sotto la doccia intenerirsi. Scollarsi. Un po’ coniglio scuoiato. Attento a non leccare le ferite insaponate, si raccomanda JFK. La carne viva fa la sua strada. Sprizza, si miscela, fuori dal gettito, alla pelosa guazzabunaglia. Per vanità JFK non esce dal bagno, per vanità non si fa guardare, per vanità si osserva allo specchio e non gioisce. Alla loro vista le bruciature si infiammano. Le campane pendule rintoccano sille cosce impietose. Rivolgiti a qualcuno, si consiglia JFK, perdio! Ma qualcuno non c’è, in più non sa più come muoversi. In più è spaventato dalla presunzione della sua sussistenza. Non sei tu che devi essere soccorso, né chi ti ha ridotto così, si lamenta JFK Il Lamentatore. Perde adesso un osso, due gli ossi adesso. Da destra il perone, da sinistra tibia e astragalo. Che farebbero tre. Una rotula, investita d’aria, è indecisa se lanciarsi nel vuoto. Che facciano quello che vogliono. Con dolore, senza paura, primattore della scena. Si allontana a fatica dallo specchio e, come per miracolo, scompare. JFK nota che JFK, fuggendo dallo specchio, ha lasciato in terra pezze e attrezzi del mestiere. L’inganno non rassicura JFK. Non si insegue e non ritorna allo specchio. Si nega il piacere di rivedersi sano anziché a brandelli. Si abbandona sulla ciambella della tavolozza. Stupisce sia ancora lì. In realtà, uno scheletro a pezzi.

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