(L’OCCHIAIA. 29.)

                

           nessuno mi segue mentre con la padronanza dettatami da un’ esperienza oramai ultratrentennale mi arrampico sulle maiuscole filiformi di un neon pubblicitario che veleggia solitario sui chiaroscuri della piazza un solo piccolo balzo dall’ultima lettera utile ed eccomi su un terrazzo che in realtà non è un terrazzo ma l’inizio sprintoso di una via che sale a spirale stretta fra edifici altissimi fino ad un giardino rosseggiante di fichi maturi lo attraversa in tutta la sua lunghezza tagliandolo in diagonale poi di punto in bianco rallenta si  blocca muore davanti a un muro gorgogliante d’acqua  dove sono conficcati questi pioli scivolosi su cui  mi avventuro  riappaio nella piazza irregolare ora dominata dai corpi di fabbrica speculari di un antico monastero occhiuto di finestre dietro le quali di tanto in tanto risona uno scalpiccio un brusio una cantilena infantile

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