(L’OCCHIAIA. 11). di Elio Coniglio

Di spalle contro lo stipite del portone, più che appoggiato, da come si muove sotto i timidi raggi di questo primo sole primaverile, sembra appeso per la collottola ad un grosso chiodo. Simile ad un grosso insetto intorpidito  da poco svegliatosi  da un profondo sonno larvale, costui ha stampata sul volto la tipica espressione beota di chi tenta, astenendosi dall’agire, di scrollarsi di dosso le messicanerie  alcoliche della notte appena trascorsa. Lo guardo. Lascio che i miei occhi rimangano appiccicati a lungo  ai miei occhi riflessi sulle lenti scure dei suoi occhiali :-  guardo me stesso che guarda se stesso…  Ben oltre il vicino piazzale, seduto sotto una sbilenca tettoia di canne alta su un terrazzino sopraelevato di una decina circa di metri dal piano stradale, Qualcuno mi guarda e sorride. In fondo in fondo al piazzale un fabbro dà maldestri colpi di martello contro una cancellata. Un ragazzino imprudente quanto ostinato forza con la ruota anteriore del proprio scooter uno dei cancelli d’ingresso per entrare nel piazzale…

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