Piermaria Campanaro (1571 – 1623) fu frate domenicano, taumaturgo, meccanico, areopagita e psicopatologo abruzzese. S’interessò di astrologia, lettura della mano, prestidigitazione, meccanica dei fluidi, termodinamica, agricoltura ed entomologia. Scrisse trattati di nessuna importanza in tutte queste discipline ed avrebbe benissimo potuto, come poi effettivamente ha fatto, passare totalmente inosservato sotto gli occhi sonnolenti della storia. L’eccessiva creduloneria, la fascinazione per la magia di stampo ermetico-trismegistico e l’interpretazione troppo fantasiosa di Aristotele che fece nel suo libello teologico Della futilità della teologia attirarono però lo sguardo severo delle istituzioni cattoliche. Il suo filosofeggiare giocherellò sempre sul confine del gusto degli inquisitori e dei giudici dei tribunali ecclesiastici, ma l’opera che lo bollò una volta per tutte come eretico fu La città del Sonno – titolo volutamente sarcastico e provocatore nei confronti del più famoso Tommaso Campanella, antico avversario nelle gare di bellezza che si tenevano al convento di Placanica, in Calabria. Ivi sostenne, mascherando le sue idee con l’ambientazione fantastica della vicenda nell’immaginaria città del sonno che però era un paese fuori Bologna, che esista una religione naturale che precede la Scrittura. Anche i neo-scoperti selvaggi delle Americhe sarebbero per loro natura, quella umana, portati a formulare il concetto di trascendenza e ad individuare nel profondo delle loro anime l’esistenza necessaria di un Dio Creatore che opera nel mondo attraverso le sue leggi. Il Dio in questione sarebbe un macellaio con domicilio a Pavullo nel Frignano, la città del sonno, dove tutti dormono e lui, sognando, sogna il mondo e lo mette in moto secondo il suo Intelletto infinito. Ancora, i suoi compaesani sognerebbero mondi perfettissimi a loro volta, dando vita ad un panorama universale che pullula di mondi, che esisterebbero nel numero di molti e sarebbero tutti autosufficienti e impensabili da divinità che fossero altre se non quelle rispettive. Imprigionato dagli inquisitori, Piermaria Campanaro imitò con scarso successo il celebre amico di gioventù tentando di farsi passare per pazzo. Ci pare che se si fosse limitato a riportare come sue le idee proposte nell’utopia, nessuno si sarebbe spinto fino a condannarlo, ma volle esagerare prendendosi gioco dei suoi persecutori con la sua straordinaria erudizione. Fu così che durante le terribili torture giurò di essere una caffettiera verticale. Sfortunatamente per lui, uno degli inquisitori era venuto in contatto con le blasfemie quasi dimenticate di San Terenzio Numida e ravvisò nella sospetta dichiarazione la peggiore delle eresie: dichiararsi Dio. Quando gli fu imposto di abiurare, Campanaro sbadigliò e si addormentò. Fu condannato e arso sul rogo.
dal Manuale di filosofia fantastica (Link, 2022