UNA DOLOMIA VOLANTE

Quando comparve e non si mosse più da lì, in sostanza nel paese cambiò poco, perché la gente si abituò senza troppi problemi a quel tanto di ombra in più che copriva la piazza come una vastissima palpebra. Andavano e venivano a testa bassa, veloci, avvizziti, qualcuno con l’ombrello. Non alzavano mai gli occhi verso l’alto, forse per una forma di pudore o per non mettere alla prova la loro capacità di credere all’incredibile. Ma la cosa era evidente, evidentissima. La Cosa se ne stava a sovrastare tutto, per quanto ignara di sé, sonnolenta, distratta forse. Così grossa, così pesante. Eppure levitante, sospesa nell’aere, a piombo sulla piazza.
La diresti una nuvola se non fosse per quel colore di polvere tendente all’ocra della sua superficie, se non fosse per quelle croste di lichene, quelle formazioni fungine, per il muschio e i piccoli arbusti di mugo, se non fosse per quelle sporgenze aguzze o per quelle crepe taglienti, per il ghiaccio cristallizzato, per le conchiglie fossili visibili qua e là, se non fosse per le martore e le salamandre che la abitano. Se non fosse per i nidi delle aquile reali nascosti fra una cima e l’altra.

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