IO SONO JACK SMITH (III)

Sono sempre Jack Smith. Per bere devo stare bene. Siccome sto per fortuna male, bevo. Un po’ di mattina, molta vodka sotto la doccia, un po’ alle cinque della sera. Certe volte mangio i prodotti della mia consolazione: fotografie di familiari, di autori in vita molto amati, succiando citronella e i peli di lei preferiti. Suono da tempo una vecchia Gibson, le Gibson non invecchiano mai, lo penso tagliandomi le unghie dei piedi. Un piacere sconosciuto a molti suonatori di Gibson. Le unghie non sono un plettro, questo le mie figlie lo hanno imparato, ma piacciono molto di più alle Gibson. Per questo le tengo in una scatolina di latta, perloppiù sono mie unghie d’alluce d’annata. Anche le mie figlie suonano le Gibson, ma preferiscono usare solo le loro unhhe. Bah. Ogni tanto telefono, ogni tanto non mi trovano quando telefono, sono le mie figlie, loro sono fatte così ma io sono Jack Smith. Vado in strada come un uomo di strada. Non un uomo, non un concetto che cammina per strada, solo un uomo, Jack Smith, che attraversa la strada. Questo il bargiglio che mi cresce dentro, che si invulva nella vulva della mia testa, cioè, comunque (se la batteria regge, però) invio un gps per sapere dove sono, a quelli che mi stanno moritorando invio invece un invece di scuse, nel momento promiscuo o promesso, sorbendo caffelatte e ciucciando cornetti all’imperdonabile ora del mattino. Ho una fidanzata con la quale un tempo ero fidanzato. Niente, non ricordo più. Jack Smith, fischia e registra.

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