da I GIORNI QUANTI (14)

Oggi mare calma piatta. A imitazione del cielo. Me ne tengo lontano, arretrato, sempre più sotto l’ulivo, sempre più dentro il suo tronco-vulva secolare, in ragione del progressivo avanzare della linea del sole avverso i miei piedi. Saranno quattrocento i metri sul mare in cui il mio ulivo e io ci troviamo a prendere le distanze. Saremo giusto all’altezza dell’orizzonte. Formichine accaldatissime ma non sudate ci prendono d’assalto sino a mezzo busto. Noi non le scacciamo, tentiamo di interpretare il formicolio, qualcosa staranno dicendo le loro zampette e potremmo essere noi gli interlocutori. Le cicale dove la trovano tanta forza di glottide, proprio quando c’è tanto caldo. Friniscono più forte man mano che la temperatura s’alza di un grado. Solo le mosche, dorso verde e perlaceo, sono più umane. Sbandano ed escono dalla pista delle loro rotte trapezoidali e, più che posarsi su di noi, ci vengono a sbattere addosso senza un progetto, si fanno pure male, più di quanto ne fanno a noi. Ma non lo danno a vedere. Al contrario di noi (che siamo per natura, spittaculusi).

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