SARDANAPALO 2

lapis specularis in  fogli di grande superficie per i padiglioni e le cabine della villa

 

mara prende cura di sardanapalo con agile indifferenza e all’ecumenico non serve muoversi per godersela da divo ogni cosa che passa lo fa ridere ogni cosa che si ferma lo turba  chi  parla la sua lingua non lo capisce chi non la parla lo intende  suono tra i  suoni fa musica dal corpo  da dentro gli oggetti a terra in uno spiazzamento fisico che al  dunque  esige armoniche balconi terrazze  e parabole da dove  ammaestrare il canto

 

orchestrato a loro esclusivo coro di truppa e cosa più gaglioffa  a colonna del bivacco vacanziero in tuniche e sperperi danzanti

 

in uno stato di completo disimpegno nella certezza che nessuno mai ha colto il senso ne alcuno ci sarà che lo colga e se anche uno si trovasse a dire come meglio sia sardanapalo resterebbe beato tra i fumi d’alloro e le lusinghe di mara

 

l’infante di strada abbigliato pargolo patrizio a tre giorni dalla luna nuova è istruito sommariamente alla lettura del secchio d’acqua maculata d’olio mestamente agitata dalle ancelle evoca

 

tre pastori in una stalla buia scrostano fregano e lisciano per lucido dozzine di uova di gallina ordinate a righe sul ripiano di un lungo tavolaccio nero e risolte in  una media piramide bianca che da lontano sembra un profiterole e altre uova già  affogate  nel secchio e scarti del controluce accantonati in un diverso solido medio all’estremo sinistro del tavolaccio simile all’ingrandimento di uno schermo con i pixel in evidenza in una tavolozza di grigi chiari bianco sporco

 

acqua piovana per gli dei del cielo acqua di mare per gli dei della terra acqua sorgente per i morti  acqua di fiume per osiride o sarapide

 

sulla terrazza l’infante disteso sul telo di lino incoronato d’edera si alza a mezzogiorno si toglie la benda la corona e butta acqua  dal bacile

 

sardanapalo freccetta sulla mappa del parnaso flessuoso e preciso con movenze morbide punta soppesa e lancia i dardi a centrare templi  teatri  e le anse del fiume ghiotte di botteghe galleggianti

 

vibra colpita a vetta si aprono spettacoli all’interno delle miniere lo sfaldarsi voluttuoso delle rocce nelle gallerie l’accartocciarsi del fango secco frane erosioni e polvere in vortice come acqua

tra un tiro e l’altro sorseggia compiaciuto le chine calda servite dalle ancelle

 

a terra nell’intero scuro dell’antro la luce entra scarsa un contadino si china smuove un po’ di paglia e porge una caciotta di formaggio fresco con un sorriso sfatto

 

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