(capitolo dodicesimo) E GLI AVOCADO SPARIRONO NEL GIRO DI UNA NOTTE

L’architetto mi invita a seguirlo senza fare domande. – Guarda dritto, come se avessi la videocamera. – Dice così e lo seguo in una folla fortunata di ragazzi che si trastullano con i narghilè. In esterno tra tavolini e dentro tra separé, fumo e luci basse. Mi viene incontro una donna. L’architetto anticipa: – è un mio amico gli sto mostrando il locale – La tipa svicola a sinistra senza commenti. Di sfuggita qualcuno a lato alza gli occhi. Non si mangia, non si beve, niente musica, chiacchierano alla spicciolata tra le zaffate dolciastre. L’architetto occhio vispo mento alto punta al fondo… e in un flash squame luminose rotolano sulle pareti, musica: la vediamo. Come anguille in padella, bisacce d’acqua in sella o budini basculanti sul piatto di portata. A sorpresa, una volta alla settimana Sasà non serve ai tavoli e danza di ventre. L’architetto ha avuto sentore per la serata. Cerco di non insistere nel guardarla, temo di essere coinvolto. L’architetto mi rassicura: non è abitudine. Sasà è ortodossa e nel suo paese fa l’ingegnere, qui si arrangia. Nel locale canta pure Amanda. Il padrone di casa veniva ad ascoltare Amanda e conosceva Sasà. L’architetto: -Domani inizieranno i lavori in giardino: via la terrazza, fine del patio. Alle sette e trenta. Ci vorrà circa un mese per mettere a posto- Esco dal locale. Due palazzi squarciano il buio di un vicolo senza fondo.

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