APOLLO

Ai due alti acri in cui spartito fu Apollo,
Brolo a esborso della tua cava di cuore,
C’è fin dove bocca ti soffia sul collo
Un filare, tra due, di alto colore

Cupo: il primo lo dedico a Amleto sazio
Dei troppi bagliori a soma d’un teschio
Ch’abbacina il dilemma a cionca disgrazia
In cui si barcamena Vita tra « Esser…

E … non Essere! » Ti ficco in mitrale
La vanga che piantò per prima il palo
A cui si sorresse l’uva immortale

Che servì da beverone agli oracoli!
Dove ascende « To be… » e « Or not to be » annuisce
A quel bel ritmo di litania araba,

Reo di una tale danza sistolica,
Si pasce lo spettro di Danimarca.
A boma sotto la lanterna analcolica
Del coma un pilota sfascia la barca

Che va sovra i flutti ma sotto soldo
D’uno scettro di potestà arcidanese.
A poppa ad una lanterna di frodo

Come il cucco dalle pupille scurisce
Quello scafo che inneggiò alla paura.

Pilota lo tinteggia in cinabrese
Sì che la fiancata non beccheggia più a prua
E l’altimetro dei flutti lo redarguisce!

A soldo d’acqua in cui sparta è la poppa
C’è chi obolo chiede al troppo che stroppia…

È una Persèfone che i morti edulcora
Col censimento: « Nigra sum, sed pulchra »?

(da Frammenti nel dialetto della Focide)

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