“Un caffè macchiato”

Roma, un sabato mattina di fine giugno, quartiere Flaminio.
Incorniciato da una parte dal Palazzetto dello sport di Vitellozzi e Nervi, dall’altra dal Villaggio olimpico delle Olimpiadi del 1960 (una buona annata) e dal recente “Ponte della Musica” che in prospettiva collega via Guido Reni al più famoso Auditorium di Renzo Piano. Non è immobile il Flaminio, cambia e non ha paura di rinnovarsi seguendo le esigenze di un’architettura sempre alla ricerca di spazi che siano spazi sociali, piazze per incontrarsi e incontrare.
L’incolpevole chiusura settimanale del sabato del bar all’angolo di via Fracassini, è stato solo l’inizio dell’avventura di stamattina. Alla ricerca del caffè perduto…… bar del Maxxi apertura ore 12, in settimana chiusura alle 19.
Cioè viene escluso il canonico orario della colazione mattutina, fascia 8-11, che a Roma equivale a un suicidio annunciato. Fumanti cappuccini con cornetto, caffè con schiuma, senza, al vetro, corretto, al gingseng, la fantasia applicata alla torrefazione, supera ormai ogni senso del limite. Per non parlare dei tanti salutisti che avrebbero preso dei meravigliosi centrifugati di frutta e verdura a 6 euro l’uno senza scomporsi. Anzi contorcendosi e snocciolandosi seguendo un’affollatissima lezione di Yoga, in programma sempre al Maxxi, nelle mattine del fine settimana, nello spazio antistante l’ingresso del museo.  Molti “seguaci” di quella che ormai possiamo definire una setta dell’equosolidale e del biologico, con crusca integrale sempre a portata di mano, in perfetto natur-vegano style. Tutti con il proprio tappetino, convinti da un silenzioso e attento Maestro. Ma neanche un caffè, il bar è chiuso.
Si apre a mezzogiorno, si sbraccia una cameriera da dietro il bancone, intravista a malapena dietro la vetrata del portone d’ingresso, dopo aver cercato più volte e inutilmente di aprire forzando quella specie di maniglione antipanico, tanto di moda. E siamo alle 11e30. I fortunati avventori presenti dopo le 12 avranno sicuramente goduto dei cornetti ormai secchi, rimasti nel cartone del fornitore, chissà. Ma anche l’orario dell’aperitivo, o happy hour che dir si voglia, 18-21 per intenderci, viene ritenuto superfluo per i gestori del suddetto esercizio in armi al polo museale di via Guido Reni. Ormai diventato l’happening di ogni buco appena degno di chiamarsi bar, dal centro città ai Castelli romani, la scusa- ritrovo x incontrare/bere/divertirsi/socializzare (ai miei tempi si diceva rimorchiare), è il momento della giornata che tutti aspettano. No, loro chiudono alle 19, non sia mai viene qualcuno!
E per finire in bellezza, ciliegina sulla torta, libreria dell’Auditorium, sempre sab 22 giugno, pomeriggio inoltrato, quando tutti ma proprio tutti, escono a cercare un po’ di fresco, pronti a comprarsi anche una muta da sub o una tenda da campeggio, pur d’ingannare la noia d’essere rimasti in città, loro che fanno? Chiudono x inventario.
Io lo farei a gennaio l’inventario, voi no?
Forse sono io che sono strana, ma al primo che mi viene a dire che non c’è lavoro, ce lo mando e con gusto. Dove?
A quel paese sì, ma non in Italia.

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