Sull’assolato terrazzo, irreali nella tremolante calura pomeridiana, due affiatati volpini – la mia Clite giovanissima e una Clite così avanti negli anni da avere il pelame nero chiazzato di bianco ingrigito e gli occhi vivaci spenti dalle cateratte – terrorizzano un piccione che, incapace di volare, per sfuggire ai canini sempre più vicini, si rintana di continuo dietro i vasi allineati davanti la balaustra, da dove, allungandomi di un nonnulla verso il tetto di una casa vicina, certe volte riesco a indovinare il rosso sbiadito di un pallone sgonfio trattenuto, a poca distanza dalla grondaia, da due grosse pietre ancorate sulle tegole giallastre di quella stessa sabbia impalpabile che lo scirocco suole spargere ovunque …
(L’OCCHIAIA. 89.)
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