LA TABELLINA DEL SETTE

era un novembre pomeriggio che in campagna imparai la tabellina del sette, un anno che dai morti ancora non ci andavamo. mio nonno sapeva fare l’uva col torchio, ad occhi chiusi sembrava il fabbro del film quando aggiusta lo zoccolo al cavallo, come un calzascarpe di lavoro. l’uva comunque ce l’avevamo anche di plastica sopra in cucina ma non era vera, io la riconoscevo perché c’era un disegno su un libro dove uno all’ultimo si accorge che è acerba, appena in tempo, e allora io quando vedevo l’uva un po’ mi preoccupavo sempre. novembre come mese è tutto marrone e arancione e giallo perché le foglie non ce la fanno più a stare appese, come uno che trattiene il fiato fino a diventare blu e viola, e io pensavo che forse essere forti e giovani è uno sforzo che si sente dopo. per me da piccolo le foglie sono tutte uguali ma invece mio padre sa i nomi e le indovina come le macchine. dice perché ci sono alberi di diversi tipi e quindi poi hanno anche le foglie diverse, e il mondo diventava più complicato ma tanto io sapevo le tabelline.

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