IL KIMONO DI OLIVA di Francesco Gambaro

Alla palestra del maestro Oliva di via Bonanno si andava perché non era possibile prenderle ogni giorno dai fascisti a scuola. Era la palestra dei compagni e degli anarchici. Io non ho capito mai perché il maestro aveva fama di compagno e di anarchico. Con noi non parlava mai, svestitevi, rivestitevi. Non l’ho neppure mai sentito gridare, chessò, taighitò, né mettere piedi sul tappeto di gomma. Ordinava da fuori campo, era un pacchione, cinturato nero, che poi scompariva in una gabbietta da cui ricompariva a orario finito. Noi ce le davamo di santa ragione, cinture bianche che a ogni colpo si slacciavano e mentre le raccoglievamo ci beccavamo pedate, piadate, piedate. Però ero felice di quel kimono di cotone grezzo, rigato, fresco e bianco come l’Immacolata. Più in là negli anni l’ho rispolverato usandolo come giacca e ci facevo la mia figura con le ragazze, uguale che d’inverno con quell’altra color cacchina alla maotze o con la mia prima camicia a fiori. Comunque sono rimasto cintura bianca e rette da pagare che dopo un anno non ce l’ho fatta più, non per i soldi ma per le tante legnate prese da compagni e anarchici. (che dai fascisti dell’Extrabar o del Cannizzaro, solo qualche calcio in culo).

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