IL GIOCATORE

Non c’era alcuna causa plausibile che spiegasse l’esistenza di un animale come la blatta, non di natura biologica almeno. Si trattava di una di quelle specie abbandonate a se stesse. Sopravviveva immutata dal Carbonifero, 350 milioni di anni al solo scopo di ovificare e perpetuarsi suggendo zucchero dalle dispense mal ripulite. E’ totalmente inutile, pensai, convalida l’imperfezione della natura. Sentirla scricchiolare sotto la suola non comporterà dunque una grande perdita. Ma quella notte ebbi sogni disturbati. Mi agitai, mi svegliai più di una volta e ripiombai altrettanto spesso in un incubo. L’essere si ripresentava assumendo la ferocia del puma. Insediatosi sul mio sincipite, lo scarafaggio rodeva la carne succhiandomi il sangue. Non saprei dire con esattezza che dimensioni avesse, né che lunghezza avessero guadagnato le sue antenne. Mi dibattevo. Cercavo mia moglie. E all’alba, infine, mi risvegliai completamente svestito. Seppi quel giorno stesso, grazie a un amico, che lo scrittore Tommaso Landolfi aveva dedicato a questa bestiola immonda un intero racconto, Il mar delle blatte. Ma cosa ancora più stupefacente fu venire a sapere che con Landolfi, morto ormai da diversi anni, avevo condiviso soprattutto la passione del gioco. Ordinai un tè, rovistai nelle tasche e estrassi il telefono. Dissi a Carmen che l’avrei raggiunta a casa dei suoi per l’ora di cena. La bestiolina fuggevolmente si spostò dal taschino al risvolto del rever della mia giacca a quadri. La sentii sfrigolare e pregai mi lasciasse in pace. Accesi una sigaretta. Mi concentrai sul gioco. 

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