ELIOGABALO NON AMA FREGENE
questa notte discinta non sopprime i tormenti maculati perché non ci sono novità eppure durante le ore della pazienza avevamo stabilito un confine
questa notte discinta non sopprime i tormenti maculati perché non ci sono novità eppure durante le ore della pazienza avevamo stabilito un confine
sul ponte sventola bandiera cremisi come la voragine delle tue carezze imprescindibili ora che all’ orizzonte si screma il mio dolore
pane e cioccolato pane bianco pane nero pane duro pane e panelle pane con milza pane di stelle pane di segale pane amaro pane di Spagna e i tuoi occhi infiniti
A Campo dei Fiori Brunaccio non la suona bene peraltro davanti al bestiario che sghianda insolente e sdrucito che potrebbe fare anima bella frastornata dalle ruberie dei cicisbei male accorti e spudorati mentre io ti aspetto invano
Sono a Civitavecchia incazzato come un bisonte di Boston perché lo Spit di Luca mi ha smarronato perverso e inconcludente epperò come dice Willy ci abbiano culo e spunta Angelo che ricuce tutto
C’ erano mondi improponibili tuttavia io ti amavo seppure con cautela considerando che l’ ultimo refrain di una rotonda sul mare rimandava a illusorie verginità
occorrono mille anni e un giorno per capire lo scivolamento dei meandri che circumnavigano gli amori scalpitanti e sprovveduti di quando all’ alba pensavano che non saremmo mai morti sebbene la morte fosse nostra meretrice senza respiro tenacemente irriducibile e maestra di ingloriose mestizie
cammnina con le scarpe piombate sgattaiolando maldestramente per il piombo che gli scivola dalla testa scervellata e inconcludente sempre una lussureggiante palude di verità storpie eppure conclamate con fervore quasi che la sua iconoclastia rupestre e friabile fosse portento in questo clima di dissolute inadeguatezze
è arrivato Enrico mio dolce sodale che quel malmostoso di Newman ci ricama su con perfida e infida giaculatoria sui rimbombi erotici e sentimentali che sarebbero solo sogni di carta noi che potremmo infine fornicare senza rimpianti laddove i cicisbei inutili insorgono maledicendo le virtuose condotte
tutti cinciano e gemono al cospetto di questo totem cromaticamente irreprensibile e coronato di spine diamantate memori di quell’ alba in cui giacemmo suadenti e un po’ carnivori senza che le indulgenze di Lucifero potessero inficiare le lettere d’ amore mai scritte eppure vagheggiate.