DONCICCIO DETTO SCAVOSSI IN QUANTO

Scavo al buio sarà notte sarà giorno scavo senza fermarmi nessuna stanchezza alle braccia le piccole falangi ritorte le unghie riscaldano il sangue gocciola conforta la temperatura della tana riporta in alto le mani dopo averle scaricate di detriti poveri al tatto non identificabili la testa dice larve fossili di pesciolini riso di terra la testa dice polvere di nocciole di albicocche alle unghie non resta guardare non scavano sino a quando le polpastrelle non raggiungono il loro punto di erosione toccherà a loro continuare riprendere portare fuori molliche acide cengie retrattili fino a quando dureranno sono pochi centimetri tre è il massimo poi toccherà alle polpastrelle sviscerare le ossa scavo dove nascono le unghie sono ossa anche loro che si fa per farle ricrescere più infretta scavo con l’impeto del graffio del neonato soffocato nel lettone dal sonno insano dei genitori bambini rubo medagliette da battesimo orologi da prima comunione ostie da cresima denti da cadaveri battezzo col sangue me scavatore il fangocemento che tappa gli occhi ma inutilmente frena l’alacre sueggiù delle mani sputo bile sputo saliva sputo aria sputo sangue lavoro sperando nella volpe rossa che con un tuffo penetra il ghiacciaio fionda con il muso la tana rendendomi finalmente libero scavo in silenzio per non farmi sentire per non tornare libero scavo il vuoto che tappa le orecchie e non fa sentire le volpe il freddo ma il cuore che palpita fuori dalla sua sede naturale sulla punta delle ossa che scorticano questa roccia morbida che si sostituisce alle defunte polpastre batte in stereofonia dieci marsigliese diverse alla presa alla presa adesso con i buchi svizzeri della pietra pomice alla presa con un coro di peli che mi urlano nelle orecchie non sentire scava scavo con le orecchie accapponate sui peli come tortellini amburghesi un liquido saponoso dopo la rottura di un ossetto del mignolo mi allaga la bocca così scopro che le ossa hanno un’anima la ingoio senza piacere non ho tempo per il piacere mangio ogni ostacolo pur di finire di scavare anche se scavare ora è soltanto continuare scavo con la lingua risvegliata dall’anima dell’osso scavo con la lingua che vuole scappare dalla bocca scavo assetato con la lingua che non digerisce l’anima dell’osso e l’ha fatto scivolare in zone della gola così simili uguali alla tana che sto scavando per non uscire fuori solo per liberare il mio naso dagli insulti di un maledetto raffreddore di stagione ormai finito scomparso seccato un ossopollice ha rotto il setto nasale è fuoriuscito da un occhio fu il destro

 

(da SESCION – 7 siciliani – I Quaderni del Battello Ebbro, Macerata, 2013)

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