da I GIORNI QUANTI (58)

Dalla saletta che l’ha accolto il giorno del suo ritorno non s’è più mosso. Comodo e appagato per la sua rivincita. Povero, più povero di quando era partito. Più povero, soprattutto, perché non ha vinto. Non potrà o non saprà ricordare a tutti, nemmeno additare, i suoi detrattori sconfitti, mentre i suoi capelli cadono, la pancia gonfia e la temperatura dell’isoletta inguinale diventa insopportabile. Ricorda o immagina (per lui è lo stesso), di avere visto un signore entrare nel bagno dell’ufficio con un bicchiere di carta, riempirlo d’acqua (calda o fredda questo non riesce a precisare) avvicinarlo alla patta, sfibbiarsela, infilarvi l’uccello per due o tre minuti, stringendo i denti e puntando gli occhi sul tetto scrostato. Questo cinque o sei volte in una mattina di grande traffico e aperta al pubblico.

Un cittadino fuoriesce dall’ascensore piegato in due, alzando un pacco che peserà poco più di una sua scarpa. Senza salutare. Si fa aiutare per prendere il secondo che peserà poco più dell’altra scarpa. Poi chiede avvilito di potersi lavare le mani.

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