Martino Pagano

Una certa parte di accademici contesterebbe il fatto che il pensiero di Martino Pagano (1890 – 1983) sia stato un pensiero. Il giudizio, a mio avviso eccessivamente maligno, è dovuto al fatto che egli fu a tal punto ossessionato dal ripulire il linguaggio dalle connaturate imprecisioni perché questo si prestasse a poter descrivere il suo pensiero, che pensò pochissimo. Grecista di nessuna fama e latinista alle prime armi, dedicò la prima parte della sua opera al rilevare il significato profondo delle parole della filosofia, così da smascherare l’uso fallace che ne fecero i suoi predecessori e da mettersi al riparo dal ripeterne gli errori. Scoprì che “essere” deriva dalla lettera e, dalla s ripetuta due volte, da una seconda e e dalla parola re, che vuol dire sovrano. Notò anche che “nulla” indica l’assenza di La, ma non implica necessariamente che anche le altre note della scala naturale vadano escluse. Volle pure render chiara l’origine etimologica di “filosofia”, che unisce il concetto di filo, filamento e quindi corda, cosa che si usa per legare, a quello di Sofia, cioè un nome proprio femminile, che fa del filosofo un pericoloso maniaco, oppure un rapitore. Questi sono solo alcuni esempi selezionati, ma la sua vis esplicatrice prese di mira l’intero vocabolario dell’italiano e lo tenne occupato, fortunatamente, per la prima metà della sua vita. La seconda parte di questa fu dedicata invece all’invenzione di una lingua sufficientemente precisa da esprimere la profondità della sua riflessione, la quale lingua consiste essenzialmente di parole composte separate da trattini che dicono poco più di ciò che dicevano prima dei trattini. “Essere” diventa, a seconda del concetto che si vuole esprimere, “essere-qui-e-non-lì”, “essere-lì-e-nonqui”, “essere-ci-proprio-io”, e così via; “nulla” è “nulla-maproprio-niente” o in alternativa “non-essere-ci-né-qui-né-altrove”. Ormai sul punto di morire, nonostante fosse conscio di non aver ancora superato completamente lo scoglio comunicativo, volle pubblicare un trattato di poco più di una manciata di parole che riproduco integralmente di seguito:

 

“Essere-ci-ci-proprio-qui non-no è-non-nulla-ma-proprio-è una-e-non-due cosa, questa cosa la chiamo quità. Chi se ne importa? Io.”

 

Verrebbe da pensare che una personalità del genere debba aver vissuto una vita noiosa, fu invece instancabile amatore e affiancò alla professione di etimologo quella di gigolò.

 

dal Manuale di filosofia fantastica (Link, 2022)

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