ANGOLO

Il primo fu l’uomo politico. Era alto e robusto, quasi impercettibilmente fuori scala. La degenerazione di una schiatta di giganti. Era vestito in maniera assurda, quando lo incontrarono di nuovo in strada, dopo aver detto qualcosa di offensivo al suo indirizzo, in sua presenza, nel suo ambiente. Pantaloni corti – da safari? – e calzini bianchi tirati su, fino ai polpacci. Una camicia a maniche corte di cui non si potrebbe indicare il colore se non ricorrendo a un’invenzione. Una leggera gobba. Girava un angolo dietro cui scompariva insieme al suo significato.
Se lo ritrovarono in casa. Al chiuso, il soffitto opprimente, sembrava ancora più alto. Una traccia di deformità.
Risultò impossibile comunicare a voce. Erano tuttavia chiari i suoi scopi: intimidazione e vendetta, forse violenza fisica.
Lui capì, o lo capì lei, che l’uomo politico li stava avvertendo di non essere solo, ma non esistono parole in questa ricostruzione di senso. Di fatto, c’erano altre persone. Entravano dalla porta o restavano al di là della porta. Oppure sostavano nel mezzo. Come avevano fatto ad aprirla dall’esterno senza forzarla?
Furono confinati in cucina. La cucina si affollò, la minaccia multipla. I loro scopi: intimidazione e vendetta, forse violenza fisica.
Un tribunale indefinito, una incontrovertibile condanna, una colpa da ricercare nei pensili sconquassati, tra gli sportelli aperti e le confezioni squarciate, nel volo di un’insalatiera un ultimo ricordo.

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