CAPITO

Che poi a ripensarci bene io mica lo conosco, il tipo. O almeno: mi sembra di no (poi magari, vai a sapere, una sbornia, e quello mi ricorda giovialone, spensierato – e invece no, che sono una testa di cazzo che lèvati da appena sveglio al primo sbadiglio). Si, ma allora perché gonfiarmi di cartoni, che mi sanguinano anche gli occhi – ché ora come ci torno a casa? Cosa gli dico? Son caduto dalla bici? Ho ruzzolato le scale? Ho mangiato pesino? Ma insomma, ci penserò dopo, in cima a queste scale di merda che non finiscono più: per ora mi concentro sul tipo che mi tocca una spalla (io sto parlando) e appena mi giro, verga, un cialdone tra moccio e bava, e poi giù pedate sugli zigomi, e sangue, sangue, sangue. Non mi fa alzare, il testa di cazzo, e ancora pedate – ma forte. E mi chiede: te la ricordi una serata a grappini bianchi? No? Che ti misi a parte di un segreto mio, che non avevo mai detto a nessuno? Che invece te andasti pronto a sviluppare nelle recchie del globo terracqueo?

Ci ho fatto tre anni, più altri due per cattiva condotta.
E giù pedate in bocca.

Ho capito, ora ho capito.
Capito.
Sputo un dente.
Capito.

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