(capitolo undicesimo) E GLI AVOCADO SPARIRONO NEL GIRO DI UNA NOTTE

Con il rumore dell’autoclave il topo è scappato dal bagno. Correndo scomposto è andato a nascondersi nella camera da letto, dietro l’armadio. Amanda è terrorizzata, marito e cognato non sono in casa. Strillando, chiede aiuto ai vicini. Guardo nell’intercapedine con una torcia elettrica e vedo il topo stretto tra legno e parete. Offro una sbirciata all’architetto che si defila educatamente. L’arpista lo segue recriminando. Vorrebbe qui ora e subito il padre o la figlia del padrone di casa e la Visicchio con la pistola. Provo a stanare la bestia. Non ho a portata di mani nulla di abbastanza lungo e sottile. Amanda mi porge una scopa e l’appoggio alla toletta. Tra smalti ciprie, trucchi specchio e specchietti una confezione di cotone idrofilo e un bottiglione di alcol denaturato. L’idea mi sembra buona. Con schizzi d’alcol prolungati e costanti centro il topo che disturbato, sgroppando, tenta l’unica via di fuga verso l’alto. Continuo con la pioggia alcolica a parabola discendente sopra l’armadio. Il topo zuppo tenta una gincana cieca tra scatole plastiche e fogli di giornali impolverati. Cade sul pavimento. Amanda grida. La bestia imbocca la porta in uscita, Amanda si scosta di scatto. Il topo ritorna caracollando nella stanza dove lo centro con un colpo di scopa. C’è odore da ambulatorio. L’architetto e l’arpista si avvicinano curiosi. Amanda mi guarda con ammirazione. – Un unico e deciso colpo secco. – Dice. Il topo ha ancora qualche sussulto. – Dovresti dargliene un altro -, suggerisce l’arpista. Ubbidisco.

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