IL LIBRO DEL CIELO E DELL’INFERNO

La vita amatoria di Seif Ebn Azeeza la si deve a un segreto. Avesse saputo di avere avuto una madre che praticava adulterio probabilmente si sarebbe tenuto nascosto, sarebbe vissuto all’ombra del palmeto e non avrebbe mai rincorso una ragazza. Ma il giovane non seppe mai che Azeeza si incontrava con un grossista di Ghardaia e con un cammelliere del Grande Atlante ogni metà del mese, quando i due venivano a Biskra per il mercato. E questo non perché la donna fosse particolarmente prudente ma solo perché la fortuna le fu sempre a favore. Perciò Seif si fece uomo convinto di essere un avente diritto, un dongiovanni nobile e puro di discendenza. Non si sposò e non ebbe figli, e trascorse un’esistenza spensierata e felice. Fin quando a sessantatré anni, per uno strano caso, malauguratamente non conobbe la vera storia. Crollò. Invecchiò di colpo. Ebbe bisogno di spessi occhiali e cominciò a soffrire di mal di cuore. A niente servivano le cure di Intisaar, l’ultima delle sue innumerevoli amanti, ovunque Seif Ebn Azeeza vedeva animali che non riusciva a distinguere. Non importa se l’ombra che si aggirava fosse quella di un gatto o di uno sciacallo: la febbre lo coglieva lasciandolo esausto. Quello che in verità Seif  non ebbe mai modo di capire era che fosse un predestinato: vissuto col patronimico di una donna moriva ora per quella donna. Doveste chiedere a un maomettano, infatti, se l’uso di farsi chiamare col nome della madre sia stabilito come tradizione vi risponderà che nessun uomo di buon senso si farebbe mai chiamare col nome di una donna. Tra gli arabi ciò non ha senso.

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