STORIE DEL SIGNOR JFK (87)

La giornata è indubbiamente calda. Uscire non è facile, Ancora meno pensare di rientrare. Fa mezzogiorno già alle sei, un languore fa stomaco allo stomaco. La campagna non partecipa della sopraggiunta difficoltà deglutativa. La campagna si limita a osservarlo, sdraiato e impossibilitato a uno stacco, veloce o rallentato, dalla sdraio. JFK non vorrebbe nemmeno cambiare posizione anche se il sole comincia a bruciargli pure le punte delle unghie. Fa mezzogiorno come fossero le sei. Ha fame, questo è il problema. Ogni organismo del suo corpo lo informa che è l’ora dell’azione del mangiare. Il contratto è quello, è stato firmato e sottoscritto dallo stesso JFK. Ma lo sforzo di alzarsi JFK riesce solo a pensarlo. Pensarlo è già uno sforzo tanto antisindacale quanto immane. Distoglie lo sguardo dagli alberi e dalle verzure complici che da qualche minuto gli negano l’ombra e, come un miraggio, scorge, un trancio di tubo rosato dal sole. Un tubo d’acqua da JFK stesso tagliato in epoche passate, della lunghezza di un rigatone liscio, cinque centimetri esatti. Ah, che meraviglia la pasta al forno con i rigatoni, gli dice. Sai a casa tengo la teglia. Anche i rigatoni rigati. Ma tu sei liscio. Sei qui. Su salta, salta. Fatti mangiare così come sei, crudo, prima che i tuoi fratelli.

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