STORIE DEL SIGNOR JFK (28) di Francesco Gambaro

JFK fu fermato nel 1977, intorno alle 2 e 41 del 13 aprile. Sceso dalla sua cinquecento blu fu schienato contro il portone. Cosa ci fa lei qui, chiesero gli aventi diritto. Abito qui rispose JFK. C’era in effetti una obiettiva contraddizione tra il palazzo candegginamente borghese e i suoi vestimenti, conditi di capello lungo blu e orecchino insù. Sentite, cosa volete, bofonchiò JFK con la bocca appiattita sul vetro del portone (faceva angolo con la dura commessura di legno baltico del montante). Gli agenti, intanto, sfruculiavano nelle sue tasche. Senta disse JFK, io amo l’Arma e sono figlio di carabiniere, citofonate a mio padre. Certe risposte non si danno ai poliziotti, non si scambiano poliziotti per carabinieri, sia pure in una notte a tinte fosche. Anche se bugie bisogna saperle allunarle. JFK era molto fatto, a sua giustificazione, ma non doveva spericolarsi in quella incerta diagnostica della situazione. Avrebbe dovuto mantenersi generico. Manifestare il suo stato confusionale e approfittare dello schiacciamento della bocca per tacere. Comunque fu un’esperienza di vita. Sotto la luce dell’unico lampione acceso di via Saverio Scrofani, dopo che i militi furono andati, due costole e un canino trotterellarono da soli verso la cinquecento. Blu.

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