ora che (14) – marzo 1980 –

– ora che questa porta qui davanti ai miei occhi chiaramente burocratizzata ha smesso dico questa porta ha smesso d’inviarmi messaggi

– ora che alzo gli occhi e torno a guardarla per controllare se sono ancora in grado di grattarne l’idea cioè l’idea della porta

– la porta e ti prego di consentirmelo non è più un simbolo o se ancora lo é si tratta di un quadro momentaneamente appoggiato al muro tra un trasloco e l’altro ormai impolverato segnato incartapecorito qua e la gonfio

– soltanto una pietà sferica mi induce a chiamare ‘porta’ qualcosa che é già stata buttata via neppure buona per la vampa di san giuseppe anche se il beffardo splendore della maniglia di ottone eccita ancora uno dei settori in basso a sinistra dell’occhio sinistro

– so che questa porta sta alla mia sinistra e che anche questo infine é un messaggio vuoto a dispetto dei due corazzieri che stanno oltre la porta ai lati della porta vuoti come la porta

‘presidente perdoni, é l’ora’

– attraverso la porta l’arco rettangolare la soglia passo da una parte all’altra

– so che non attraverso più nulla non passo e questa é la vendetta

– la porta mi lascia in eredità alle stanze in cui per 2/3 della mia giornata vivo

– la vita é un’impalcatura ossea che ricopre la carne

– prendo quest’impalcatura e la sistemo dentro la cornice della porta

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