STORIA DELL’AMORE 3 (Primum movens)

Già prima del contatto o contratto sessuale è l’irruenza di certe parti del corpo. Parti, commilitoni boy scout comunisti e anarchici, costretti al buio delle carceri anatomiche, protestano la loro liberazione. In questa primavera dei sensi si sbocconcella di nascosto il pisello appena raccolto. L’individuo amante sente rigoglioso in sé l’amato, il frutto rubato di una improvvisata stagione o festagione. Sente il bisogno di fare del bene a sé (in età avanzata del male per sé). Alfredo il catanese disse: in carcere cosa c’è di male a farsi guadare lo scroto, spaccimme contro spaccimme. E da scarcerato usava chiedere, che spacchio d’ora è? E’ l’ora in cui dovremmo finire, gli faceva eco Mina, subito correggendosi, in cui dovremmo venire. Così torna nell’amante la voglia dell’amato. Una voglia, non un tatuaggio (in se e per sé voluto e non dato), come la marca che marca il bove e non sa e non ha voglia di essere marcato, come il destino del perseguitato. L’amante sente animarsi nello stomaco il bambino mai nato. L’enfasi del parto unito alla felice tragedia dell’uscire. L’amato amante si percuote la testa e fa cose che altri uomini, chi più chi meno, fanno: tadisce le regole. Salta di capezzolo in capezzolo e beve il latte che da ogni capezzolo fuoriesce come quando Stanlio si mette a guardia di una botte e con la cannula in bocca torna bambino. L’amato cerca anche il sangue dell’amato. Spesso non lo trova. L’amato cerca nell’amante, una ragione giustificativa per bere. L’amante è, dunque la ragione, non l’irrazionalistica passione. L’amato questo lo sa. Lo sa anche l’amante. Diventa amato amante. Così comincia la produzione del bene che tutto il mondo muove e ostetriciamente commuove.

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