CREDEVO FOSSE UNA STORIA SBAGLIATA

Non ho contanti ma ho un capitale, la penna-ricordo che funziona.

Nella luce bianca e la connessione che ci fa fratelli nel consumo, la ragazza guarda un momento nel riflesso del vetro. Restiamo uniti, restiamo dis – sperati, speranze di qualcun altro.  Noi, attori in cerca di relax.

La chitarra insegue la chitarra e gli acuti lanciati mentre respira il piano, intanto produciamo dati su spotify. Fattori e consumatori, abbiamo dei compiti, possiamo stare tranquilli.

Una volta credevo che fosse una storia sbagliata, una storia di umani pensanti. Ma i pensieri non hanno più un pensatore, ormai da molto tempo. Adesso mi arrivano le case i debiti della signora dietro di me, o le voci che organizzano la serata, nell’ascensore della metro in interferenza con la radio.

Il bambino strillone messaggia con il destino, si vede dalla valigia enorme della madre. Debolmente accadrà, più presto che credi, su un’astronave low cost.

Credevo fosse una storia sbagliata, iterazione, iter, spirale all’indietro. Sei un pò in ritardo, amico, gli anni Settanta. I soldatini, ogni esercito un colore. Scoppia la guerra, bum bum. Le cartucce vuote da caccia, i neri sono i tedeschi. E quella bambola là, che mi guarda sempre.

 

Finita la guerra si sparpagliano i colori, gli amici i nemici. Così adesso, pezzi sparsi. Desideri. Desideri. Prodotti. Dati. Algoritmi. Riproduzione.

 

Senza rimorsi, riflettiamo, siamo riflessi. Restiamo uniti. Restiamo dis – sperati.

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