L’INFINITO PER TUTTI

Per voce di solisti occasionati,

ai festival en plein air municipali

si declamano liriche d’autore

nonché, or non è guari,

anco le proprie.

Qualche blogger meno timido che sprovvisto,

fan del celebrato Recanativo

in bisecolare celebrazione

(come tanti webnauti tali e quali a lui),

s’arrischia all’alto cimento

e fatto segno a plaudente share,

quasi del Nostro erede epigono,

è incoronato poeta…

Epperò la poesia d’antan

con la sua coda a frange di sasso

ammiccava accucciata fra la cancelleria

di chi nella sua elevata dignità

di poetare, pensare e vivere,

attingeva il privilegio

d’aver forza di mano per tirarla a sé,

tessere lo spazio conveniente

al proprio piego

e farsene una stola lucente di primo pelo.

Certa poesia oggi

non fa più la ruota attorno al vecchio Pelikan

come, appunto, duecent’anni fa

ove macchie blu in punta di genio

evocavano pregiate penne d’ala leoparda

sospinte da Euterpe.

Oggi, certa poesia, ancorché leggera,

pesa giù dai desk, ghigna con riluttanza

sulle tastiere vibranti

di luce riflessa.

Se vale assieparsi in karaoke versificatore,

ché dilata le orecchie relative della piazza,

forse val meglio ancora seder mirando,

dall’al di qua d’uno smart o d’un PC,

le parole di stagione e di vento

che la temperie romantica

ha sublimate

e comparar con esse…

il vago stormir digitale

dei propri file di scrittura.

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