ENZO

La notte scorsa, un riposo biondo?
Ho più sonno che scrivere stanotte. / Avevo lasciato giù credo un Fofi, / un Metodo Fofi
del ’37 / stappato in occasione di un certo / cinema americano, ricordo: / naso di pepe
spento, naftalina / e ’37. La mancata orbita, / l’elettromagnetico in noi, mi davano / da
pensare, invece: quale mite, / quale testa: avrei avuto migliaia / di fabbriche in ascesa,
da che parte / le guardi le guardi. E in piena austerity.

Sempre una vera storia delle cose?
Senza lenticchie. Così come il fumo. / No, non aveva portato fortuna / smettere, né
dimagrire il tanto… / Poco pop, innervosirsi e fare / il recrimine di tutte le cose; / tanto
pop, il non cercare Orienti, / spostare nella pratica il problema. / Giusto questo:
l’animale domestico / si nutre di soluzioni, il bacio / è conseguente; sì, l’indigno era / lo
sport più visto e io ne facevo / la controcàbala (e già in quella / controcàbala, per
qualche motivo, / per qualche ‘improvviso’, c’eri tu).

 

E certe matte, incredibili estati?
Sì, il cielo stamane è da bere. / Intanto puoi dire, puoi fare intanto, / intanto che ti
soffoca il blu. / C’eravamo: ecco Premesse, il luogo / ritornato, che il tempo poi aveva /
fatto un fiume di anni e tentativi / alla sorgente; dove vedi che / riposa un’ombra
adesso, un bar acceso, / l’unico acceso tra me e la mia smania / delle 6 di ogni mattino,
un tempo.

Quando si fecero quasi le sette?
Qui ogni sei anni si muore, e forse / si riparte altrove – un luogo nell’aria, / persone,
economie; talvolta si / replica il ciclo – si arriva a dodici; / talvolta a metà i primi segnali
/ che indicano una tappa o il momento / in cui lasciare. Ma vai a capire / se questo
funziona come il sonno / oppure si innesta, se poi si innesta, / lungo la linea diritta del
tempo / che ci andiamo raccontando adesso / nel dubitabile mercato umano.

 

Cartoline ‘viaggiate’ e mai tornate…
Era compresa dalle donne, già, / abituate alla vita più / di noi. E alla rigenerazione. / Era
ora compresa anche qui, / dai, in vero, dove ogni volta / a una mancata orbita accettata
/ e legittimata dal nostro tempo, / corrispondeva un ingresso in se stessi / non
calcolabile proprio in perimetro, / benevolenza e logica e che stava / lì a significare che
la somma / tra mondanità bancaria, diavoli e ‘te’ / portava al medesimo risultato, /
sempre quello basso, sempre di ‘uno’.

Lei di profilo, in bianco e nero?
Volando così, a benzine spente / e la scarsa propensione a fare / sistema, l’inabilità al
normale, / quella lieve tendenza familiare / a scendere, sì, erano un’unica / cosa con
quell’ orgoglio selettivo, / prima, ed espansivo, gli anni dopo, / che riusciva a inibire
perfino / il regalo, la predestinazione.

 

Un tempo di contrabbassi e lambrette…
E la lingua era quella che era / e come altro non poteva essere: / indipendente, mandata
a mente / e poco avvezza in curva allo scalare / grammatico. L’intaglio era gustoso, /
elegante, ma anche altre storie; / frasi di New York ove no, non c’era / fascinazione del
corretto, della / lingua che madre non è più, invece / del comprendersi ugualmente
quando / parlare è solamente una cosa / utile tra altre utili cose.

E al mattino, vestito di buio?
Ora fa tutto lei, l’ora legale; / nemmeno più il gusto di scordarsi, / sì, di mettere avanti
l’orologio, / di ricordarlo agli altri a mezzodì, / di parlarne un po’ spiegando che, certo, /
hai perso un’ora di sonno, ma le / giornate si allungheranno; il pc / ha già fatto, il cel e
tutto il mondo / pure. Ormai è grande, è autonoma, / no, non è più la tua bambina, l’ora.

 

Stanotte tutta la musica è bella?
Piange l’inverno, ma ora sei adulto. / Le acque hanno smesso giusto il tempo / di un
caffè e sigarette, verso / le 7. In quei cinque minuti ero / Mosè. Ma nella versione dei fatti
/ di Italo Svevo, chiaro, certamente. / Giornate, giornate che non le accendi / più; la neve
per gente come noi / diviene pioggia e il vento, il vento / che te ne parlo a far’Esci a
quest’ora: / l’umidità, mezza luce e l’inverno; / anche Roma diventa un borgo pigro / di
tutti sabati e molti caffè.

Un treno appena accennato, la strada?
Ovvero, codesto splendido Praga, / la legittimità dell’aglio, la / curva dello zabaione in
scesa. / Un solo settore aveva visto / invece un incremento notevole / della produzione
e delle vendite / (la cosa aveva fatto ben sperare): / filiera filati, toppe da gomito. / Un
po’ inizio delle trasmissioni, / un po’ incrocio dei pali, un po’ / il cielo del 23 di febbraio.

E di tutto quest’universomondo?
A me basterebbe uno che veda / la vita, sì, non necessariamente / come una patologia

da cura / e che non faccia di un po’ di schiuma / in più nel cappuccino, una questione /
di ideologia. Questo sarebbe / un buon presidente. Ma non c’è. Ché, / se avessimo
capito qualcosa / dell’arte e della sua funzione – vero – / il capolavoro vive ed è la / sua
immediata sdrammatizzazione. / Che poi essere adulti (vedi anche / laici, critici, ironici)
dopo / seimila anni di storia, di scienza / e di mondo è il minimo che / si chiede, a
questo punto. Vedi tu.

E al bambino che era, oggi, cosa…?
E al bambino che ero, oggi, cosa… / direi? Resta lì, vado io…

Enzo.

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