LUCE MARINA

Le case che ho abitato, diceva, erano in vie prestate a nomi votati a rivoluzioni minori: un martire sulla rocca, dietro la porta alle mura megalitiche, un socialista assassinato in un incrocio tra un fiume Sand Creek qualunque e una croce al prato, eccentrici prosatori di capitelli e campanili, monili barocchi e oggetti irrelati, fasciati da luce dove sempre, ancora, si prendono appunti. Una roccia per pirati ammaestrati all’assalto, a Roca, o un tetto per paglie marine, tafaluru senza volto e memoria. Diceva addio addio, arrivederci, grazie. In tutto sono gli accenti che illuminano il canto: non fermare sul foglio la mano, oh che fare, dire, vestire la pagina con proverbi dimenticati, bruciare bruciare, bruciare le cento mille parole: al fuoco al fuoco, sarà un altro assalto, correte, imbiancate fino alla fine, osservate, scrivete! L’avresti mai detto che, in un così apatico firmamento, sarebbero stati inondati i baratri con luce marina?

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