CANTICI DELLO STAGNAIO IX

questa è l’ora in cui gli scheletri sonnecchiano

dentro tutti gli armadi del paese

in cui la decrepita signorina che abita

al piano di sopra

zoppica con delicatezza tra i correlativi

del suo mondo interiore

il padre morto in guerra, il fratello ubriacone

il basilico che sbiadisce

in un bicchiere di terra

durante il crepuscolo

le maniere del mondo, o almeno

di questa periferia del mondo

si fanno più dimesse, più cerimoniose e meste

gli alberi e le case si sciolgono tra i rumori

televisivi, gli erutti definitivi di un freno

a mano e l’odore della pasta

che guizza e si dimena nell’acqua bollente

in questo momento, a quest’ora

mentre la mia mano scrive

accanto a una lampada

e la lampada è accanto a una finestra

e la finestra è accanto alla sera

e ai comignoli delle case che fumano

nella sera, a quest’ora

in questo momento

io sono in una strada di Palermo

una strada di tanti anni fa

in questo momento, a quest’ora

io sono là ma non sono lo stesso

di allora, né sono quello che sono ora

in quella stessa strada che c’è

ancora, ma che non è più quella

di allora

né è la stessa di ora

e la stessa Palermo

non è più la stessa

non è più se stessa

a quest’ora, in questo momento

ho nell’udito voci che non odo più

e nelle mie tasche che non sono più

le mie tasche ci sono foglietti ingialliti

numeri di telefono e chiavi

di case, di stanze che non abiterò mai più

e c’è troppo caldo a quest’ora, in questo momento

in quella stessa giornata di allora

e la luce di quel giorno che non c’è più

è ancora gialla, anche ora

anche in questo momento

non era una luce dorata, è ancora gialla

come la dentatura di una pecora

o di un cane

e c’è un ristorante modesto, a quest’ora

in questo momento, in quella stessa strada

proprio

dove allora c’era un  modesto ristorante

che ora, in questo momento, non c’è più

c’era un negozio di un rigattiere

un po’ prima

poi c’era una bottega di barbiere

e un po’ dopo il ristorante

c’era un piccolo bar

un piccolo e lugubre bar di quartiere

e c’erano anche allora, se non mi sbaglio

come ora, in questo momento

tra le pareti di quello stesso

ristorante modesto

quel modesto ristorante

che allora era un ristorante modesto

e che ora è solo un modesto ricordo

i visi di certi avventori, in certe giornate

che non sono più le stesse

di allora, in questo momento, a quell’ora

ognuno di essi sprofondato nella stanchezza

della propria solitudine, operai artigiani impiegate

nell’inconsapevole nobiltà di ogni gesto necessario

e silenzioso, ognuno

di essi seduto alla propria tavola

mentre, come in questo momento

come ora

il mio sguardo, come il loro

con inquieta pigrizia passava

da un vecchio calendario a una crepa sul pavimento

e da lì, immancabilmente

finiva per finire sulla strada di fronte

oltre l’ingresso privo di insegna, dove io sono

a quest’ora

in questo momento

nei luoghi di passaggio, dove il sole

per qualche ora, come ora

come in questo momento

riusciva

o forse ancora riesce, come ogni giorno

a quest’ora, come in questo momento

ad addormentare la vita

 

(da SESCION – 7 siciliani – I Quaderni del Battello Ebbro, Macerata, 2013)

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