R.I.P.

La lingua come un virus che s’ingorga nei penetrali del tempospazio perduto. Va. Senza pensiero. In movimento. Alla ricerca. Dell’opera grande? Forse. È l’oggidiana distopia? Prosit. Nostalgia. NO! Le doglie del ritorno in spirali di memoria. Trasversando le soglie del tempospazio passato. Presente storico. Luogos mitico o mitizzato. Infanzia, faccia di bronzo. Adolescenza per sempre. Mitosenso di pienezza, di ben essere dell’in sé smarrito. Un sepolto vivo? Lutto. Elaborazione del. Cordoglio. Poi, magari, un giorno, e per sbaglio: lo spaziotempo ritrovato. Tra snaturato e sformato, ineluttabilmente. Grave imbarazzo. Tempo sfigurato dal tempo trascorso. Non sai dove metterlo. Atopico. Lo ritrovi ed è irriconoscibile. Inguardabile. O sei tu che non ti puoi più riconoscere. Neppure conoscere, va da sé. Ho comunque sempre pensato che ritrovassi io-me a quindici anni non lo riconoscerei. Lo disconoscerei. Si scrive per capire. Chi si è. E, soprattutto, chi non si è. Senza più luogo. Dismesso. Incenerito. Tumulato. R.I.P.

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