Cadevano come pioggia benedetta nel finale di Magnolia, surreale ma quanto? Da alcuni giorni ce le ritroviamo, qui in campagna, appicciate ai vetri della cucina, ingolfate nei rivolvoli di polvere del corridoio, saltellanti sul carapace della nostra piccola tartaruga domestica. Sono rane giovani, forse pigmee, chiuse a pugno nel palmo della mano sgusciano dall’orifizio del pollice. Alcune le imbarattoliamo con coperchio di rete metallica elastica. La mattina non ci sono più. Infiltrate in un pertugio di maglia verso o contro l’inutile libertà. Brave migranti. Poi finisce proprio come nel film, cadono dal cielo, morte.
“Rane” di Francesco Gambaro
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