PATELLE

Se non fosse che è inverno, caccerei fuori il bikini a righe, la cuffia con i fiori
e, sgambata, farei una corsa di cavalloni fin giù, allo scoglio. In mezzo al
mare, pingue e accosciata, la signora Taide sflippa cannolicchi. Li mangio
crudi, dice, Guarda qua. E che bonta! Al tatto e agli arti inferiori che
smucinano fondale, s’adonta l’acqua, si fa sabbia e polvere, e Taide ne tira
fuori uno fresco fresco, lo tiene tra due dita, lo guarda come un fratello, lo
sfila dal guscio e lo fa sparire in bocca, senza pensarci due volte, mastica.
Esco infreddolita, la sabbia incastrata nel costume, l’asciugamano
polveroso, mi accuccio dietro uno scoglio e la vedo. Taide con un coltellino
profila le patelle, le stacca, le guarda, le mangia. Penso che io ora vado al
chiosco e mi sparo una ciambella, penso che io così non lo faccio. Abbasso
gli occhi e sono nell’acqua, il coltellino è affilato, lo scoglio tagliente, ne
caccio un paio e le faccio scricchiolare tra i denti e sulla lingua.

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