Ermal Ciarpam

Se la filosofia inglese del novecento, che viene ora identificata come analitica, si occupò delle questioni della matematica, della logica e del linguaggio, quella tedesca, a buon titolo detta continentale, riscoprì come si sa l’ontologia e la metafisica. La Francia, come sempre, ha una storia a sé. La prima metà del secolo dette vita al movimento letterario, filosofico e culturale noto come esistenzialismo, la seconda è difficile a dirsi, ma ci proveremo più avanti. Rimanendo per ora sull’esistenzialismo, va rilevato che non si capisce bene cosa voglia dire. Filosofia dell’esistenza, stando al nome, è filosofia di tutto ciò che esiste e dunque non si occupò di niente in particolare, ma di tutto in modo generico e poco approfondito. Nella vastità dei temi individuabili, ebbe particolarmente a cuore quello dell’uomo e della sua condizione di tremolante filo d’erba stravolto dall’impeto della vita. Sono talmente tanti i personaggi di spessore finissimo che hanno popolato questo panorama che è difficile escluderne uno piuttosto che l’altro. Si potrebbe parlare dello scrittore Bertaud, con il suo romanzo Il Calzino, privo di trama; oppure di Carnet, prolifico autore di teatro, con La Giuseppina, La Fiaccolata, Il Mal di Stomaco, che ripropongono le grandi tematiche della tragedia attica stravolgendole in confusi numeri da circo con monocicli e tutto il resto. Per non far torto a nessuno, li escluderemo tutti e ci concentreremo sulla figura di Ermal Ciarpam (1901 – 1989), che ebbe per lo meno il merito di aver qualcosa di particolare, cioè di non essere francese, ma albanese. Esule, scrisse sempre in una lingua che non era la propria, ma neanche quella dei francesi, tanto infarcita di errori grammaticali e scivoloni stilistici da potersi dire a stento una lingua. Pessimista assoluto, personaggio afflitto e mesto, poverissimo e piagnucolone, produsse dozzine di opere tutte intitolate “Maledizioni.” In esse, gravide di bestemmie, anatemi, parolacce e volgarità, viene passata in rassegna ogni cosa, analizzata nelle sue capacità di procurare dolore fisico e spirituale e poi maledetta. Onde smentire chi dubiti che una tale operazione sia possibile segnalo l’ottavo capitolo del diciassettesimo tomo (CE017.08), dove viene presa in esame una smerigliatrice idraulica (non una a caso, ma proprio quella, e altre seguono nei capitoli successivi), descritta nei suoi minimi particolari, individuata come metafora del lutto familiare e infine ricoperta di ingiurie. Si veda anche il capitolo ventesimo del quarto tomo (CE004.20) che tratta delle trombe a pistoni, male ancestrale incarnato nelle volgari sinuosità dell’ottone, delle parti meccaniche e del vuoto che la riempie, simbolo dello sfiatamento inutile ed esasperante dell’essere umano alle prese con il sovraccarico emozionale che impone la musica, che si chiude con una raccolta di blasfemie tali da far impallidire il marchese de Sade. Apologeta del suicidio e dell’autoflagellazione, visse serenamente fino a novant’anni, ebbe sei figli, una moglie di una semplicità quasi commovente e due gatti.

 

dal Manuale di filosofia fantastica (Link, 2022)

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