ACQUA DAVANTI E VENTO DIETRO

Genbraio. 3. 3.
   Sentirsi prigioniero e subire passivamente le agguerrite mareggiate che risonano ben al di là di questi muri…  muri, muri e ancora muri. Ovunque! Muti spettatori spesso. Qualche rara, deprecata volta anche baubau. Come adesso. E ciononostante, paradossalmente, seguito ad illudermi d’essere al sicuro da ogni minaccia esterna, quando invece, non riesco a trovare qua dentro un riparo bastevole a salvarmi dalle soverchianti sferzate cieche della sabbia che spinta con violenza dal vento si intrufola a sciami  attraverso le porte e le finestre. E quel che è peggio, portandosi dietro quest’irritante aria salmastra… quest’insopportabile puzza molliccia assai simile a quella che fa il baccalà quand’è andato a male, che, oltre ad ammorbarmi i polmoni, alla lunga, finirà per ottundermi il cervello. E non sto mica raccontando frottole! Già da un bel po’ infatti, rilevo in me le inconfondibili avvisaglie di un progressivo e, ahimé!, temo, irreversibile rincoglionimento! Come altrimenti definire senno certe inconcepibili stravaganze comportamentali cui vado spesso soggetto ultimamente, la più eclatante delle quali consiste, da una settimana a questa parte, nel grattare smaniosamente dalla mattina alla sera con le nude unghie delle mani quel puntolino laggiù, rintracciabile perché di un nonnulla più scuro rispetto alla tinta della parete. E, da non crederci, tutto questo sprecarmi solo per potere godere – che follia! – e giusto qualche attimino prima che cada, estenuato dalla fatica, in un sonno inquieto, di quella quasi impercettibile scalfitura…  appena un graffio… un insignificante depressione nell’ottusa compattezza ostile di una parete, a cui, dopo ore logoranti, ho strappato quella misera manciatina di particole che torreggia instabile sul pavimento. E l’indomani, dopo un ennesima notte trascorsa per lo più a ‘rummuliarmi’ insonne sopra questo sozzo ammasso di cartacce e di stracci tanfananti di cucina, quando, non ancora del tutto sveglio, mi porterò davanti agli occhi cisposi entrambe le mani, certo, e nessuno potrebbe convincermi del contrario, di trovarle come minimo, e non esagero, ridotte in condizioni pietose, con quale rinnovata meraviglia li sgranerò nel vedere tutte e dieci le mie industriose unghiette non solo integre, ma, manco fossi stato da una manicure, addirittura ben tagliate, ben pulite… d’istinto, con un brusco scarto, punterò lo sguardo stupito verso il mio puntolino scuro… quanto mi rassicurerà abbracciarne il contorno frastagliato… ma di scalfiture, graffi, taffi o paffi sulla parete neanche l’ombra!…  E da un momento all’altro, quasi senza rendermene conto, mi metterò a canticchiare quella filastrocca, sussurratami negli orecchi da una qualche onirica entità amica, che, in men che non si dica, man mano che la snocciolo, ha il potere di rimpicciolirmi di quel tanto che basta a uguagliare le dimensioni di un ‘simicio’… ‘Taccia’ d’uomo, in tutta fretta m’infratto tra gli artigli leonini di una cassettiera e annodo alla ‘caiboia’ un lunghissimo capello corvino… il lazo rotea, straccia l’aria sopra la mia testa… paziento… e… tacchete!… lo scaglio insieme a un trascinante yaouuuhhh! verso uno dei tanti gironzolanti granelli di sabbia… un sol balzo ed eccomi in groppa all’indomito, sì, ma ancora per poco, mustang di gialla arenaria… e nonostante i continui, violenti scrolloni, non mollo la presa… saldamente aggrappato ad ogni sua utile asperità lo lancio al galoppo fra lanicci schizzoidi, frantumi e pozze di luce disseminate sul pavimento, la cui vastità mi fa presentire gli spazi che, immagino, si srotolano a perdita d’occhio dall’Altra Parte…

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