ACQUA DAVANTI E VENTO DIETRO

DIVEMBRE. 3.1.
   Arrampicarmi e, guadagnata la sommità, calarmi giù per un muro così inverosimilmente privo d’appigli e poi, una volta dall’altra parte, aprirmi a mani nude un varco attraverso gli aggressivi grovigli vegetali che lussureggiano incontrastati ai piedi delle altissime piante esotiche – di una varietà e di una esuberanza talmente insolita rispetto alle specie di alberi che notoriamente crescono stente in queste contrade, da non sembrare nemmeno reali – e infine raggiungere la Villa che ad ogni mio sguardo pareva allontanarsi ‘Mondi’, è stata una impresa davvero non facile! E cosa ho dovuto inventarmi per eludere i sofisticatissimi sistemi di sicurezza e riuscire finalmente, un po’ malconcio ma indenne, ad introdurmi al suo interno!!!   Ricordo, molto vagamente, sì, proprio come se stessi rivivendo ad occhi aperti un sogno frantumato da un risveglio improvviso, d’aver vagolato furtivamente, in preda ad una eccitazione esagerata, per ore e ore e ore ancora, passando e ripassando più e più volte attraverso atri babelici dove, sempre più spesso, stremato dalla fatica e ormai a corto di fiato, mi sono accasciato sui pavimenti lucidati a specchio; d’avere attraversato di corsa, veloce come una lepre Marzolina rincorsa da un vento invernale, corridoi labirintici, impaziente d’annichilirmi nei saloni vastissimi strapieni di mobili massicci; d’avere inseguito – quale pazzia! – le mie stesse orme mentre salivano e scendevano e risalivano e ridiscendevano scale monumentali di marmo pregiato che sfidavano, a volte, vertiginose, rimbecillenti altezze sideree; d’essermi prontamente appiattito dentro l’ampollosa ombra cinerina che marezza gli stipiti di questa porta spalancata all’interno di uno dei saloni per poter meglio spiare, con gli occhi accesi da un lucore mannaro, belle coyotere illunate dalla luce sonnacchiosa di una decina di abat-jours che mettono e smettono, scambiandoseli l’una con l’altra, talliers, pellicce, boa, minigonne, jeans strettistretti, tutine, lussuosa lingerie, anelli, doppi e tripli fili di perle con orienti indescrivibili pescati con mani avide da dentro piccoli scrigni senza fondo… Quanto tempo è trascorso? Secondi? Minuti? Settimane? Decenni? So solo che se fossi rimasto un altro po’, nessuno me lo leva dalla testa, avrei perso la vista per il tanto guardare e riguardare quei bei corpi avvezzi a vizi ed ozi da geisha! Per mia fortuna, le porte scorrevoli degli ascensori panoramici alla mie spalle si sono aperte simultaneamente con la promessa, intrigantemente celata fra le cipree chiarie che fiorano i loro vuoti ventri borbottanti, di altri lidi, di ludi diversi, di nulla emozionanti, di chimeriche… Non ho indugiato oltre! Spronato intimamente da scoppi incontenibili di gioia, saltellando sulle punte dei piedi mi sono diretto verso il più vicino. Appena dentro, le porte si sono richiuse automaticamente senza nemmeno concedermi l’opportunità, credo dovutami, di poter scegliere fra le diverse dozzine di tasti di un pannello di comando e, dopo un lieve sobbalzo avvertito come un pugno violentissimo dal mio stomaco sconcertato, l’ascensore è schizzato su a forte velocità… A fine salita, …

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