FREDDO

A una sconosciuta

dal senno lunare.

 

 

Poi si è voltata

un giro, due tre,

la giacca lunga il tailleur liso

un lembo

coppa ricolma senza pace

pera pera, bramava un succo

voce rotta tremuli viso occhi

il suo mondo cogitante ressa

voci dal ventre sasso acceso sulle tempie

le mani incrocio di fulmini spenti

cenere sotto i piedi

«mondo, siedi in banco»

la furia di concetti sbranati

divelta la luce sul volto

buio sul petto nascosto

ricurve spalle di donna vissuta

memoria ancestrale

«fa freddo» lo sguardo è rapito

«segui me» l’ombra riflessa di nebbia densa

ora sale sulla corda sospesa,

un piede poi l’altro

si scatena dalla gabbia

sconquassa il passo tardo

si allontana

nodo in gola

forse un giorno a noi?

Ahimè, i cocci riversi

magra illusione fiore di campo

croco giallo intenso grumo di sole

folle la presa imperversa veloce

incosciente grido di rapaci

nere chiazze miseria del globo

carne dell’uomo pasto per l’uomo

lingua di fuoco dispersa

immagine spenta sonno incompreso.

«Ahimè un giorno a noi?».

Lo sguardo è fisso sul disegno imperfetto

la linea del tempo trafigge

la mente dissolta la nebbia

«Fa freddo» ancora «fa freddo».

Il ghiaccio rovente la morsa assurda

Chi è perfetto? Chi normale?

Chi fende il pensiero? Chi scaglia

il dardo di onirici presagi?

«Fa freddo».

Lei è là, le mani volteggiano

carezzano l’umida spira

il fiore appassito

reclina il capo deciso

vana l’attesa.

La notte arriva transita il buio.

S’acquieta la forza

si levano palpebre stanche.

Fa freddo ancora.

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